Sacerdote nella e per la Chiesa

 

“La scoperta di questa realtà è ciò che cambia veramente la nostra vita nel profondo. Si tratta di un amore senza riserve che ci precede, ci sostiene e ci chiama lungo il cammino della vita e ha la sua radice nell’assoluta gratuità di Dio. Ogni specifica vocazione nasce, infatti, dall’iniziativa di Dio. È Lui a compiere il primo passo e non a motivo di una particolare bontà riscontrata in noi, bensì in virtù della presenza del suo stesso amore riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo. La misura alta della vita cristiana consiste allora nell’amare come Dio. E’ nell’apertura all’amore di Dio e come frutto di questo amore, nascono e crescono tutte le vocazioni. Parola, preghiera ed Eucarestia sono il tesoro prezioso per comprendere la bellezza di una vita totalmente spesa per il Regno di Dio”. (Cfr. Papa Benedetto XVI, Messaggio per la 49esima Giornata Mondiale per le Vocazioni, 29/04/2012

Prendo spunto dalle parole che qualche anno fa, Papa Benedetto XVI, scrisse in occasione  della 49° Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni e fermarmi per fare una riflessione, con voi, ad alta voce, sull’essere sacerdote.

Ovviamente, parlo di me. La mia vocazione è nata nella mia famiglia. Una semplice famiglia di una piccola città di provincia del nord Italia. Una famiglia di operaio e casalinga, attaccati ai semplici valori della vita: casa, famiglia, lavoro, parrocchia, vissuti in un clima sereno di vita onesta ed educata. In casa, buona educazione, formazione culturale, oratorio, preghiera condivise con la famiglia in un clima di profonda serenità di rapporti. Anche nella mia famiglia, ovviamente, non sono mancate difficoltà e momenti pesanti, ma sempre superati con spirito di sacrificio dai miei genitori e dall’impegno mio e di mio fratello a capire e a collaborare. Sono partito da casa in giovane età, sono entrato in seminario nella mia Diocesi e li è iniziato il cammino di formazione.

Ora sacerdote da quasi 30 anni, ormai, ricordo quei momenti come un grade evento della mia vita. Queste semplici cose hanno creato il mio cuore di sacerdote. Gli insegnamenti rigidi, ma amorevoli di casa e del seminario, hanno formato il cuore e lo spirito dell’ uomo e del sacerdote, con la consapevolezza che nessuno è perfetto. Dopo i primi anni, trascorsi nella mia Diocesi di origine, sono partito Cappellano Militare e qui è iniziata l’avventura più bella del mio servizio alla Chiesa e per la Chiesa. Si apriva a me un mondo non famigliare e per il quale il seminario non mi aveva preparato, ma del resto la formazione da le liee generali, la famiglia le basi e la vita il resto. Così mi sono tuffato nel campo che il Signore, attraverso i miei superiori, mi aveva preparato e con slancio, dedizione, voglia di capire e di annunciare il Vangelo, ho iniziato questo servizio in questa porzione di Chiesa.  

Cresciuto nell’Oratorio Salesiano, dove la mia vocazione ha preso sempre più corpo, l’idea del sacerdote era don Bosco: con i giovani e per i giovane, così senza saperlo mi sono ritrovato nel “cortile”, luogo ideale per la formazione dei giovani, come diceva don Bosco, questo cortile si chiama “piazza d’Armi” e con questi giovani ho condiviso e condivido, questo, quasi, trentennio, del mio sacerdozio. Caratterialmente sono sempre stato irrequieto, vivace e un po’ contro corrente e quindi con difficoltà ho vissuto le regole, ironia della sorte, servo una comunità che vive con delle regole ferree, quindi Chiesa e Istituzione militare, due regole molti simili che hanno inquadrato il mio lavoro, la mia vita, ma non la mia mente, ad amare e cercare strade nuovo di evangelizzazione sempre in seno alle indicazioni della Chiesa.

Cosa ho imparato? Tutto quello che avevo studiato, vissuto, imparato in casa, a scuola, ora dovevo trasferirlo nella vita e vi assicuro che non è stato e non è facile, ma credo che sia indispensabile mettersi in ascolto e saper accettare la volontà di Dio così come viene, con l’umiltà di sapersi dei “servi inutili” nelle mani del Signore. Oggi, assistiamo a insofferenza alle regole, alla disciplina, a uno stile di vita organizzato, solo pronti a rivendicare i propri diritti e la propria libertà, senza, però, accorgerci che dimentichiamo di avere dei doveri e così, il rischio è quello di imporre la nostra idea con la nostra presunta libertà con il rischio di vincolare quella degli altri. A distanza di anni, diventando grande, nell’età, capisco che quegli insegnamenti rigidi, ora sono la spina dorsale della mia vita: fedeltà alle piccole cose, ai miei doveri, alle leggi.

Senza una disciplina interna ed esterna la vita diventa un continuo susseguirsi di eventi senza senso se non si riempiono di contenuti e di valori. La dimensione della preghiera, imparata nella semplicità della mia famiglia e coltivata con passione in Seminario è sempre stata il punto fermo delle mie giornate.

Senza la preghiera mi sono accorto che la vita rischiava di andare a rotoli, senza uno spirito di sacrifico, di accettazione, di fiducia nell’Istituzione, tutto crolla.

L’Eucaristia e la preghiera personale, sono il centro della mia vita e del mio servizio, prima di ogni altra cosa. Si può avere una coscienza, anzi bisogna avere una coscienza critica, ma non ci si può sostituire ai superiori e questo l’ho riscontrato anche in Forza Armata, una comunità ordinata e perfetta, nei valori e nello svolgimento delle sue mansioni, molto simile alla chiesa: ordinata! Mettere in discussione l’ubbidienza, diventa un limite, invece, il credere in quello che si fa è l’anima della vita, altrimenti allora tutto crolla e diventa critico e non servi ne a te ne alla società. Ovvio che quando sei giovane, si pensa di rivoluzionare il mondo, la società, la chiesa, le forze armate ecc., poi con il tempo, ti accorgi che se non c’è obbedienza e spirito di sacrificio puoi essere al vertice, avere soldi, fare una carriera brillante, ma il cuore è vuoto. Se non sei pieno di amore, se non hai una bella famiglia alle spalle, difficilmente riuscirai ad essere educante nella vita, sia per te che per gli altri e non riuscirai ad essere positivo e ad annunciare l’amore del Signore o svolgere il tuo servizio con sincerità.

La mia gente, le mie comunità, hanno continuato la mia educazione, come uomo e come sacerdote. Saper ascoltare, condividere il loro cammino, le loro scelte, le loro croci e le loro gioie, mi hanno aiutato, ogni giorno, a vivere l’amore di Dio.

Dalla mia gente ho imparato a vivere, ed essere sacerdote migliore, dalle mie famiglie, dai miei soldati, anche i più giovani, ho scoperto una ricchezza e una serietà uniche che mi hanno sempre messo in discussione per fare sempre meglio. In questo non è mancata, ovviamente, la severità delle mie parole e dei miei gesti, la dove mi accorgevo che la pazienza e la spiegazione di alcuni cammini e ideali non venivano compresi. Se credo nel bene di una iniziativa, di un’azione, la spiego e poi non mi adeguo alla massa, ma  la perseguo certo che è bene per la mia comunità. L’autorità va vissuta con pazienza e nell’ascolto, ma va anche imposta, la dove la ragione è privata e non comunitaria e non a servizio della collettività. Non so se ci sono riuscito, ma so che il Signore, attraverso di loro, dice a me, il Suo amore e che ha scommesso e continua a scommettere su di me, indipendentemente dalle risposte che riesco a dare. 

La ricchezza che questi giovani portano con se, ricchezza coltiva nelle loro case, nobilita ogni giorno il mio povero cuore e il mio servizio. Ho imparato a fare, più che a giudicare, a spendermi con dedizione, più che a chiedere. La fedeltà alla preghiera, la nobiltà dei gesti nella liturgia e nella vita, hanno creato il mio cuore, cercando, ogni giorno, di somigliare sempre più al cuore di Cristo, sia nelle mie azioni private, che in quelle pubbliche. Amare non vuol dire educare, vuol dire fissare un punto e raggiungerlo con impegno. Amare non vuol dire essere amato, necessariamente da tutti, ma amare tutti.

Vivo il mio Sacerdozio imparando dall’amore fedele dei miei genitori, dall’esempio dei miei giovani, dalla attenzione della Chiesa per tutti, dai valori di questa Istituzione, che servo nel suo popolo.

Ho imparato ad apprezzare il poco o tanto che ho in questo momento, senza chiedere nulla di più, accettare le indicazioni e cercare di ubbidire alle scelte che altri fanno per me della mia vita, con serenità: nulla chiedere e nulla rifiutare. Non è facile, ma sono convinto di questo atteggiamento. 

Non ho fatto grandi cose, non ho fondato o costruito, scritto ho fatto carriera, nel senso umano del termine, ma ho vissuto in pienezza questi anni sentendomi usato da Dio e lasciandomi usare da Lui sapendo che senza di Lui neppure quel poco sarei riuscito a fare. Non sono intelligente, ne grande organizzatore, vivo ogni giorno cercando di scoprire cosa il Signore vuole per me, annunciando il suo amore con la mia semplice, banale e povera presenza. Non ho proclami da fare, ne idee nuove da proporre, ne consigli da dare, se non quello di una continua verifica della vita, sapendo e conoscendo i miei grandi limiti e sperando di non mettere in difficoltà nessuno con la mia vita, forse un po’ informale, ma attaccata alle cose semplici, imparate da sempre e cercando di portare a Dio amici nuovi, facendo scoprire la bellezza di essergli amico con e nella Chiesa, cercando di rispettarli con la fedeltà al mio lavoro e invitando alla serietà e fedeltà alle proprie scelte vocazionali.

Rimango un carattere forte e irrequieto, conto sino a 10 prima di parlare, ma non basta, pertanto confido nella misericordia del Signore e nella pazienza dei miei superiori e della mia gente, cercando di parlare e di vivere nell’amore e nella semplicità delle cose, con eleganza, dignità, rispetto e facendo di ogni giorno un giorno unico e straordinario, sapendomi stupire delle piccole cose quotidiane. Preghiera, famiglia, chiesa, servizio, in questo spirito, sono le quattro parole che mi aiutano a vivere l’amore a Dio attraverso il dono del sacerdozio. 

@unavoce