o autorità?

 

«Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. 

  

C’è una sola parola che sta al centro di questo battibecco tra Gesù e i “saputoni” del tempo: autorità, che possiamo intendere anche come potere. Ed è proprio in nome di questo potere -cui Gesù sfugge- che la sua presenza crea disagio e scandalo in quelli che invece il potere lo hanno cercato e lo esercitano. Gesù non ha nessun “titolo” per parlare: vero, verissimo. Nessun tipo di autorità: non ha studiato, è un falegname, la sua casa è Nazareth, ai confini dell’impero, non ha frequentato i grandi rabbini del suo tempo. Eppure la gente lo ascolta e lo ammira. La sua autorevolezza deriva dalla sua straordinaria capacità di vivere e di amare e dalla sua conoscenza perfetta di Dio continuamente nutrita nella preghiera e nella riflessione…  Il nostro mondo forse ha dimenticato l’autorevolezza che deriva dall’esperienza. In un’epoca fatta di “specialità”, abbiamo bisogno di persone significative che ci guidino sulle strade della vita, che ci insegnino la difficile arte del vivere”. (cfr. parrocchiecurtatone)

Una delle caratteristiche umane è il carattere che ci differenzia e ci contraddistingue. Nei nostri ambienti molte volte ci sono alcuni con caratteri forti o detti con brutto carattere.

“Tutti abbiamo un carattere. Cioè, tutte le persone hanno un carattere, o meglio, un tipo di carattere, ma non tutti hanno un brutto carattere. Questo significa che avere un brutto carattere non è sinonimo di avere un carattere forte, ma semplicemente è un tratto distintivo rispetto agli altri. Possiamo dire che è una caratteristica del carattere e della personalità di un individuo”. (cfr. siamomamme)

Talvolta anche noi preti abbiamo caratteri forti o come detto sopra intransigenti, ma il più delle volte nasce questa risolutezza nell’affermare o dire le cose dalla stanchezza di vedere atteggiamenti maleducati, superficiali o arroganti di chi è deputato a dirigere, a comandare, o guidare altre persone.

Il “perbensimo” gratuito non porta da nessuna parte, talvolta la chiarezza diretta toglie le maschere della vita che continuamente portiamo perché ci fa piacere essere considerati buoni, i migliori, i più capaci dagli altri, ma questo vale per una vita onesta?

Allora il prete in strutture come le nostre diventa la voce di chi non ha voce e ad alcuni le spiegazioni calme risultano difficili, pertanto il tono risoluto potrebbe svegliarli dal torpore o dalla presunzione in cui sono caduti.

Ovviamente questo non da licenza di mancare di educazione e carità, ma porgere l’altra guancia non significa non vedere o non sentire e chi ha il compito di guidare, animare ha il dovere di dire le cose come stanno senza tanta diplomazia. Lo scossone alcune volte può portare a riflettere sui propri atteggiamenti. Non si possono mettere i piedi in testa a nessuno ne inferiori ne superiori, ma nel giusto tono e con i giusti modi si lavoro e si comanda.

Alla fine poi chiedere scusa, chiarirsi aiuta a crescere nel rispetto reciproca, aiuta a maturare e fare chiarezza nei singoli compiti che ognuno di noi deve svolgere.

Quando si ha a che fare con le persone il nostro atteggiamento deve essere serio, ma posto nel giusto modo, non si comanda con la paura o la severità ma con autorevolezza che non è autoritarismo “perché l’ho detto io”, soprattutto con i sottoposti, questo denota poca intelligenza e non capacita a ricoprire quel ruolo, pertanto ognuno di noi deve fare esperienza e confrontarsi continuamente per crescere e migliorare.

Poi, ad ognuno di noi rimane la propria indole e carattere come si accennava, ma sapendolo possiamo fare passi verso una collaborazione e una convivenza utile a crescere.

Questo è compito di tutti, venirsi incontro, non creare tensioni, collaborare perché il servizio sia snello e utile senza creare complicazioni dove non ci sono, tipiche situazioni di ambienti chiusi come possono essere i nostri lavorativi o ecclesiali.

Una riflessione, direte, “che trova il tempo che trova”, come si sul dire, ma che se pensiamo alle nostre singole situazioni di vita forse ci può tornare utili per essere autentici, collaborativi, propositivi e svolgere il nostro lavoro o servizio sempre con quella carità che non è sottomissione ma determinazione nel raggiungere gli obiettivi.

Ovviamente noi preti dovremmo modellarci molto, per essere di esempio, nonostante i nostri limiti e lo scrivente ne ha molti ma spero, senza mancare di umiltà, di saper chiedere scusa quando qualche episodio ci fa essere troppo chiari e diretti. 

@unavoce

 

Foto di Copertina: fonte