Meditiamo insieme 

“Giacobbe era un imbroglione. Pietro aveva un caratteraccio. Davide aveva un’amante. Noè si ubriacava. Giona fuggì da Dio. Paolo era un assassino. Gedeone era un insicuro. Maria era una chiacchierona. Marta era una ansiosa. Tommaso era un dubbioso. Sara era una impaziente. Elia era un depresso. Mosè balbettava, Zaccaria era basso, Abramo era vecchio e Lazzaro era morto…Dio non chiama il qualificato. lui qualifica il chiamato. ripubblica se pensi che non sei perfetto, ma che dio sta comunque lavorando nella tua vita” (fonte sconosciuta)

 

Nella semplicità della mia vita, a servizio della Chiesa e dei fratelli, in questo tempo e in quella porzione della “Vigna del Signore” con le stellette, cercando di non apparire e di mantenere un profilo ritirato e riservato senza essere scostante o presuntuoso e cercando di essere umile conoscendo i limiti e le difficoltà di una vita dedica a Dio, nonostante le ripetute cadute, vorrei condividere con voi una meditazione, perché credo che possa aiutare me e voi a crescere e a comprendere e se non comprendere almeno indirizzare la strada per vivere nella giusta dimensione le cose della vita alla luce della Fede in Dio.

Ci facciamo aiutare da una frase che ho letto sui social e di cui non conosco la fonte, ma che mi ha colpito e su questa ho ripensato al mio cammino di vita e di vocazione, così pregando e leggendo mi sono imbattuto in una bellissima catechesi di Papa Benedetto XVI che tenne nel 2011 e alla quale, riportando ora solo qualche passo, vi rimando per la  sua lettura integrale.

La frase che mi ha colpito e per la quale posso dare la conferma, perché la vivo ogni giorno in me, è questa: Dio non chiama il qualificato. lui qualifica il chiamato. ripubblica se pensi che non sei perfetto, ma che dio sta comunque lavorando nella tua vita”.

Si!, cari amici, Dio non sceglie i migliori, ve lo garantisco, ma lavora su questi “elementi”, lasciatemi usare questo termine tra il serio e lo scherzoso, perché possano servirLo e servire. 

La catechesi di Papa Ratzinger si concentra sulla figura di Giacobbe, raccontata nel libro della Genesi al Capitolo 32 nei versetti 23-33, che vi riporto a pie pagina, perché possiamo comprendere meglio il senso di quello che il testo sacro riporta, aiutati appunto dalle parole del Magistero. Un racconto che ci parla di una lotta notturna di Giacobbe dove alla fine incontra Dio.

“La notte di Giacobbe al guado dello Yabboq diventa così per il credente un punto di riferimento per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova la sua massima espressione. La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio nemico, avversario, ma con un Signore benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibile. Per questo l’autore sacro utilizza il simbolo della lotta, che implica forza d’animo, perseveranza, tenacia nel raggiungere ciò che si desidera. E se l’oggetto del desiderio è il rapporto con Dio, la sua benedizione e il suo amore, allora la lotta non potrà che culminare nel dono di se stessi a Dio, nel riconoscere la propria debolezza, che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio … tutta la nostra vita è come questa lunga notte di lotta e di preghiera, da consumare nel desiderio e nella richiesta di una benedizione di Dio che non può essere strappata o vinta contando sulle nostre forze, ma deve essere ricevuta con umiltà da Lui, come dono gratuito che permette, infine, di riconoscere il volto del Signore. E quando questo avviene, tutta la nostra realtà cambia, riceviamo un nome nuovo e la benedizione di Dio. E ancora di più: Giacobbe, che riceve un nome nuovo, diventa Israele, dà un nome nuovo anche al luogo in cui ha lottato con Dio, lo ha pregato; lo rinomina Penuel, che significa “Volto di Dio”. Con questo nome riconosce quel luogo colmo della presenza del Signore, rende sacra quella terra imprimendovi quasi la memoria di quel misterioso incontro con Dio. Colui che si lascia benedire da Dio, si abbandona a Lui, si lascia trasformare da Lui, rende benedetto il mondo. Che il Signore ci aiuti a combattere la buona battaglia della fede (cfr 1Tm 6,12; 2Tm 4,7) e a chiedere, nella nostra preghiera, la sua benedizione, perché ci rinnovi nell’attesa di vedere il suo Volto”. (cfr. Papa Benedetto XVI)

Ora sappiamo che Giacobbe, da come ci viene presentato nel testo Biblico, non sembra avere un altissimo profilo spirituale e morale come altri grandi Profeti, ed è un uomo segnato dai difetti e limiti ed è pure bugiardo e inganna per un suo interesse, ma nonostante questo Dio vuole condurre la Storia della Salvezza usando anche lui e le sue miserie. Questo ci fa comprendere che la logica di Dio non segue quella nostra, Dio va sempre controcorrente e non si adegua al male, ma lo trasforma, lo incanala, lo usa per salvarci.

Dio, capite quindi, non sceglie perché sei il più bravo o il più bello o il più influente o intelligente, no assolutamente, ma Dio sceglie in base all’amore e a quanto ci vuole bene nonostante tutto.

Dio, questo ce lo ricorda sempre nella nostra vita, qualsiasi vita abbiamo, ci suggerisce di non dimenticare che Lui ci ama prima di ogni altra cosa e al di là dei nostri meriti. Questo ci deve porre in un atteggiamento di vera umiltà sapendo che è Lui il Signore a fare le cose e noi solo semplici strumenti, qualsiasi vocazione abbiamo, qualsiasi mansione o lavoro svolgiamo. Nessuno di noi è perfetto, nessuno e migliore dell’altro.

La nostra società rischia questo tracollo perché non sa essere umile, non sa amare veramente, non sa ascoltare e nella “lotta notturna” della vita non ha visto ne sentito la verità dentro il suo cuore perché troppo preso ad ascoltare se steso. La Quaresima è il tempo della conversione, della verifica, dei cambiamenti, approfittiamo per metterci in questa dimensione di continuo rinnovamento spirituale perché questo ci aiuterà a rinnovarci nella vita e nell’impegno di essa.

“Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui.  Quello disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!».  Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!».  Giacobbe allora gli chiese: «Svelami il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all’anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l’articolazione del femore, perché quell’uomo aveva colpito l’articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico”. (Genesi 32, 23-33)

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