Come i discepoli

 

L’esperienza dei discepoli che tornano ad Emmaus, dopo i fatti della Pasqua accaduti a Gerusalemme, ci apre a un movimento indispensabile della vita: quello di ritornare. Tornare sui nostri passi, tornare perché c’eravamo sbagliati, perché credevamo ad altre cose, perché non avevamo capito, perché ci siamo fidati di altri e così facendo abbiamo perso la fiducia in Gesù con il quale eravamo stati. Avevamo camminato insieme, condiviso il cibo, sentito spiegare la Scrittura ma tutto era finito. Una delusione grande, i sogni che avevamo erano svaniti e non si erano realizzati e questo modo di percepire la vita e le cose in essa ci ha distrutto soprattutto nella fiducia. Queste cose fanno perdere la passione, l’entusiasmo, la voglia di fare e non ci danno la forza di rimetterci in gioco. 

E’ talvolta questo anche il quadro generale delle nostre esistenze. Assistiamo ogni giorno a questo modo di vedere e di vivere la vita, ogni giorno anche tra di noi cristiani ci sono questi sentimenti. Tutto è delusione e fallimento, la storia, il passato, il presente e per il futuro non si hanno speranze, siamo solo capaci di lamentela, di giudizio, di pregiudizio, di critica, di contestazione: “Noi speravamo che fosse lui”.  

Noi siamo fatti così! Parlar male, rimanerci male, giudicare, criticare e in tutto questo diamo spazio al buio, al male, al pettegolezzo, al diavolo che si veste di bello e ci porta, dove vuole, ma a un certo punto, in questo nostro cammino che quasi sembra una fuga dalla realtà, si avvicina uno straniero: “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”, non sanno chi sia e neppure si pongono il problema, tanto sono riversi su loro stessi, camminano quasi infastiditi dalla sua presenza, però davanti alla provocazione, mentre si era avvicinato: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?», anche se delusi, infastiditi e assenti con la mente, si lasciano andare e cominciano una tiritera di lamentele, di malumore, di rabbia e questo sconosciuto li ascolta con pazienza e dopo averli lasciati sfogare inizia a parlare. La sua voce, la sua calma: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”, riscalda il loro cuore e le sue parole fanno sciogliere il ghiaccio della loro delusione, fa cadere le squame della tristezza che avevano accumulato e che non gli permetteva di comprendere, al punto che la presenza di questo sconosciuto diventa bella, necessaria, ci si sono affezionati, tanto che al momento di doversi separare, scoppia quell’amicizia che ha bisogna di stare, di vedersi, di rimanere e condividere. Sì! condividere il cibo, le parole, i gesti e proprio in quel momento conviviale di serenità ritrovata si aprono i loro occhi e lo riconoscono, ma Lui scompare e allora s’interrogano, hanno ripreso fiato, la mente ricomincia a elaborare e riconoscono che era Gesù: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». Di corsa ritornano pieni di entusiasmo, di gioia, di voglia di fare e il dolore della scomparsa, della morte è superato, perché Lui è vivo ed è vivo dentro il loro cuore, lo sentono rimanere con loro in quel pane condiviso e spezzato e nelle Sue Parole.

Questo è il ritorno che dobbiamo compiere! Delusi dalla vita e dalle cose della vita, dalle persone o dagli eventi dobbiamo riaccendere quella passione dentro di noi, ritornando ai nostri sogni, alle nostre promesse. Tonare alla fedeltà delle scelte fatte, ascoltare la Sua Parola con il cuore, vivere la vita con intensità, sciogliendo i nostri pregiudizi, imparando a vivere e a camminare alimentati dal quel “Pane spezzato”, dall’Eucarestia, che alimenta la nostra fede, a comprendere le Scritture, a credere e a non dubitare, a non mettere sempre tutto in discussione. Non servono più le dimostrazioni, ma solo ritornare per stare con gli altri, per parlare di Lui, per agire come lui, per amare come lui.

Preghiamo l’Arcangelo Michele che ci aiuti a liberarci da questo buio interiore per dare spazio alla luce che rischiara e riscalda la nostra vita. 

San Michele Arcangelo, difendici nella lotta, sii nostro presidio contro le malvagità e le insidie del demonio. Capo supremo delle milizie celesti, fa’ sprofondare nell’inferno, con la forza di Dio, Satana e gli altri spiriti maligni che vagano per il mondo per la perdizione delle anime. 

Una preghiera antica che dobbiamo non dimenticare per farci aiutare a superare questo modo di vivere e saper Ritornare dal Signore con entusiasmo e voglia di costruire il Regno di Dio. 

@unavoce

 

Foto di Copertina: fonte