Liturgia della Parola

Ascensione del Signore

nel sacramento della sua parola, ovvero della sua immagine riflessa nell’umanità sofferente

ASCENSIONE DEL SIGNORE

“gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono” (Mt 28, 16)

Lasciamoci affrancare nella fede, in questo piccolo “francobollo di spirituale”, con le parole di San Paolo VI, Papa: “Noi siamo qui in un’atmosfera, che potremmo dire surreale. Ma questa rivelazione ci introduce finalmente nel disegno supercosmico dell’economia soprannaturale: «noi aspettiamo, scriverà l’Apostolo Pietro, nuovi cieli e nuova terra» (2 Petr. 3, 13). Solo che noi, diciamo noi moderni specialmente, educati alla conoscenza scientifica del mondo, e soddisfatti e fieri della sovrabbondante ricchezza delle nostre conquiste sperimentali e culturali, non siamo facilmente predisposti ad ammettere un ordine diverso da quello che costituisce il quadro della nostra presente esplorazione; e sebbene esso ci sveli, ad ogni indagine, una ordinatrice sapienza polivalente, anzi staremmo per dire, una libera fantasia creatrice divina in ogni suo aspetto, noi siamo forse assaliti dal dubbio circa la possibilità, circa la futura realtà d’un ordine soprannaturale, e facilmente mormoriamo col servo cattivo della parabola: «tarda ormai il mio padrone a venire . . . » (Matth. 24, 28); per concludere, circa la dottrina escatologica del Vangelo: sarà vera? non manca forse di prove razionali? Dimenticando così, come dicevamo, che Gesù, – ora invisibile, e tollerante che la vicenda della natura e del tempo proceda col suo inesorabile ritmo, mentr’e il dramma della libertà umana svolge il suo gioco, docile o temerario, – Gesù non è assente, anzi Egli è ancora con noi; sì, con noi, per chi è attento a cogliere nel segno, cioè nel sacramento della sua parola (Io. 8, 25) ovvero della sua immagine riflessa nell’umanità sofferente (Matth. 25, 40), oppure nella sua Chiesa vivente e testimoniante (Cfr. Lumen Gentium, 1; Act. 9, 4), e finalmente nella realtà sacramentale e sacrificale eucaristica la sua multiforme presenza. Come, del resto, Egli, all’ultimo congedo, aveva asserito: «Ecco, Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20). Ma come, come vederlo, come riconoscerlo, come riascoltare la sua voce, come aprirgli il nostro cuore, se le vie naturali della nostra conversazione sono incapaci di superare l’abisso, che il mistero dell’Ascensione ha scavato fra Lui e noi? Lo sappiamo. Gesù si è nascosto, affinché noi lo cercassimo; e noi sappiamo qual è l’arte, qual è la virtù, che ci abilita a questa ricerca, anzi a questa scienza superrazionale della misteriosa presenza di Cristo fra noi. È la fede, che nel battesimo ci è infusa, e che ex auditusi determina (Cfr. S. THOMAE In IV Sent. 4, 2, 2, sol. 3), accogliendo cioè la parola di Cristo insegnata dalla Chiesa; la fede, che nel suo esercizio, come c’insegna S. Agostino, ha pure i suoi occhi, habet namque fides oculos suos (Cfr. S. AUGUSTINI Ep. 120: PL 33, 456; et En. in Ps. 146: PL 4, 1897); esercitata con amore e per amore alla divina verità, con gli «occhi del cuore», cresce nella sua certezza, approfondisce la sua visione, e diventa un’esigenza d’azione (Cfr. Gal. 3, 11)”. (cfr. San Paolo Vi, Papa – Omelia festa dell’Ascensione 1975)