Non risposte ma amore

 

Difficile avere un pensiero equilibrato quando si parla di cambiamento o tradizione, la cosa bella potrebbe essere un cambiamento nella tradizione senza stravolgere la solidità dei dogmi di una istituzione come la Chiesa che da duemila anni annuncia il Vangelo. Consapevoli ovviamente di limiti ed errori in questo bimillenario cammino credo che la tradizione, che non è il tradizionalismo e il cambiamento non è la rivoluzione, debba essere vissuta in modo intelligente e non a beneficio di una idea o dell’altra ma alla luce del Vangelo. Se cambiano i linguaggi e le modalità non dobbiamo però cambiare quei valori che sono fondamento della Religione Cattolica che è espressione di una Fede fondata sulla roccia che è Cristo.

Cambiare per cambiare, snellire per snellire non sempre può essere la strada per adeguarsi ai tempi altrimenti il rischio è di ridurla ad una semplice o complessa organizzazione dimenticando il messaggio che deve annunciare. Nel mondo e non del mondo (Giovanni 17,14) rischia di essere solo un bello slogan più che la strada spirituale di crescita. Le cose di Dio vanno vissute con altri stili di vita altrimenti si rischia di trasformare tutto come un grande carrozzone e le ritualità, le tradizioni, i momenti topici della vita della Chiesa dimenticati o accantonati solo per cambiare.

In una famiglia, in ogni famiglia ci sono momenti, occasioni, appuntamenti, tradizioni che vanno salvate e celebrate proprio per mantenere il legame, l’unità, il senso di appartenenza e ci teniamo perché ci raccontano la storia, ci fanno far memoria di chi ci ha preceduto, di chi ha costruito o fondato un nucleo come quello della famiglia. Ci tramandiamo nomi e luoghi, cose e situazioni proprio per quel senso di appartenenza che ci da solidità, ricorrenze che non sono solo appuntamenti vuoti ma motivo per rinsaldare l’unità di una famiglia.

La Chiesa in questo è sempre stata maestra e oggi l’apertura, che sembra volere attuare, rischia di diventare rigidità di scelte che non hanno fondamenti teologici ma solo sociali e di opportunità, non che sia sbagliato ma la preghiera, la liturgia e le cose del culto vanno vissute con una sacralità rituale che non debba appiattire tutto confondendo poveri con mancanza di dignità, fratellanza con mancanza di identità. Dalla preghiera seria parte la carità, l’azione e la presenza nel mondo.

Forse ognuno di noi nel suo ruolo in questa Santa Chiesa obbedienti al magistero dovremmo però non svendere il Vangelo per una maggiore snellezza che ovviamente è necessaria per non fare regole e leggi fini a se stesse ma seguire regole e leggi che aiutino a vivere appieno il Vangelo di Gesù.

Cambiare poi per mettere altro è il cammino che credo si stia facendo, il rischio è però che forse questo “altro” non ci sia o sia fragile o superabile come oggetti commerciali. Le celebrazioni, la formazione, le ritualità sacre e laiche fanno parte della vita dell’uomo, c’è una sua logica nel cosmo e nella vita dell’umanità che è naturale e stravolgerla non so fino a che punto porti a un vero cambiamento.

Il vero cambiamento deve nascere e cresce nel cuore, nell’anima, nella solidità della Fede che vissuta seriamente mette in atto dei cambiamenti che non svuotano ma riempiono e ci portano a una maggiore comprensione dell’obbedienza a Dio e alla Sua Chiesa e questo credo sia l’intento del recente Sinodo.

Cambiare per riempiere le chiese, se questo è l’obiettivo, forse è rischioso. Cambiare direi per educare meglio, per dare risposte autentiche, per avere maggior tempo di annunciare attraverso una testimonianza non banale e scenica ma concreta spiegando le cose con onestà. Motivando le scelte tutto si riesce a comprendere eliminando così luoghi comuni e giudizi temerari che invece sembrano essere i motivi per cui dobbiamo stravolgere il tempo e la storia.

Sono domande e riflessioni ad alta voce, senza una ricerca di una risposta precisa ma occasione di riflessione per leggere quello che ci circonda e le scelte che vengono fatte alla luce di un amore per la Dio e la Sua Chiesa, per il papa e il magistero.

Vedo attorno a me, non solo in persone mature ma anche nei giovani, un po’ di disorientamento. Vedono i capi saldi, le rocce sicure della nostra religione, pur non frequentando e pur non sempre condividendo, come delle sicurezze e sono e rimangono anche inconsciamente il “filo rosso” di molti e sicuramente delle nostre comunità.

Credo che la diversità di regione, nazione, di area geografica, religione, pensiero possa cambiare le prospettive di queste gestualità e unificarle non porta giovamenti ma rischia di produrre confusioni. In un mondo che cambia rapidamente e tutto è provvisorio la Fede in Cristo è un punto fermo, pertanto le cose che ci parlano di Dio devono cambiare ma per migliorare la comprensione e cambiare eliminando senza mettere altro si rischia di togliere mattoni mettendo cartongesso e il peso prima o poi farà crollare la roccia se le fondamenta diventeranno fragili. Un passo della scrittura mi torna alla mente, quando il Re Nabucodònosor chiede spiegazione del sogno a Daniele (Daniele 2,36-55).

Appiattire e unificare non sempre è utile, la diversità ci arricchisce, tradizioni, costumi e modi differenti rendono ricca la vita e trasformare tutto in un unico piano non ci fa fratelli ma semmai ci divide ulteriormente imponendo pensieri privati e fardelli come gli Scribi e i Farisei (Matteo 23, 1 -39).

Preghiamo lo Spirito Santo che illumini i nostri cuori e le nostre menti nell’obbedienza e nell’amore alla nostra Una Santa Apostolica Chiesa di Cristo.

@unavoce

 

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