Catchesi -14,15,16

 

 

“CHIESA CHE OFFRE, RINGRAZIA E INTERCEDE

La Consacrazione ha reso presente Cristo nel Pane e nel Vino sull’altare. Ed ora il sacerdote, a nome di tutti, offre a Dio Padre “il pane della vita e il calice della salvezza”. Non dice “ti offro”, ma “ti offriamo”, perché è la comunità lì intorno all’altare che offre il sacrificio: lo Spirito Santo, invocato, riunisce i fedeli in un solo corpo che compie il “servizio sacerdotale”. Solo Gesù, Dio fatto uomo, è il vero sacerdote, ma proprio Lui ci offre questa stupenda possibilità. “Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”. «La Chiesa – scrivono i vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II – desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma imparino anche ad offrire se stessi e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti ».   [Costituzione sulla Liturgia 48  ]. La Messa non “si ascolta”, ma “si fa” tutti insieme, con la presidenza del sacerdote; e l’effetto di questa azione sacra è quello di essere uniti a Dio e ai fratelli in modo sempre più perfetto. Diventiamo, per opera dello Spirito Santo, “un solo corpo”. La cosa è talmente bella che ci spinge a desiderare e pregare perché questo “solo corpo” comprenda tutta Chiesa, con le persone viventi sulla terra e i fratelli che già hanno raggiunto il cielo. La Preghiera Eucaristica si conclude con la frase che rende gloria al Padre per mezzo di Cristo: « Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli ». Queste parole le pronuncia solo il sacerdote, ma tutti i presenti acclamano: « Amen! » La grande Preghiera Eucaristica viene così riconosciuta ed approvata con forza dal popolo di Dio. Potremo pronunciare in tutta verità quell’Amen solo se avremo seguito con estrema attenzione e partecipazione la vicenda che si svolge sull’altare; e se avremo riflettuto sulle parole che formano il testo della Messa per scoprire in esse la profondità del mistero che celebriamo.

RITI DI COMUNIONE

Terminata la Preghiera Eucaristica, l’assemblea si prepara alla Comunione con la recita del “Padre nostro”, il rito della pace, la frazione del pane. Il Padre nostro è la preghiera che ci ha donato Gesù: meditando a lungo questo testo, possiamo arricchire la nostra fede e camminare sulla via dritta che ci porta al Signore. La preghiera si snoda tra la richiesta che il Nome di Dio sia santificato e l’invocazione a Dio, perché ci liberi dal Maligno, mentre al centro troviamo un particolare riferimento al Pane Eucaristico. Sembra che oggi non si dia molta importanza alla presenza del Maligno, che invece opera costantemente per allontanarci da Dio. Anche la tentazione di ritenere tutto buono, di crederci perfetti, di non approfondire la Parola, né i Sacramenti o le verità di fede, rendono l’anima insensibile, indifferente alle altezze a cui Dio ci chiama. “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro”, dice Gesù. Terminato il Padre nostro, il sacerdote continua ad invocare Dio, perché ci liberi da tutti i mali e ci consenta di vivere “liberi dal peccato, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”. Il peccato è la disgrazia più grande che ci possa accadere, mentre la Messa ci orienta sempre a una meta di speranza, di salvezza in Cristo, di glorificazione di Dio. Il rito della pace è preceduto da preziose parole che invocano unità e pace per la Chiesa tutta. Nello scambiare un segno di pace, dicono i Vescovi, « i fedeli esprimono la Comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento ». Non c’è nessun riferimento alla necessità di stringere la mano facendo tutte le combinazioni possibili. Ora il sacerdote spezza l’ostia consacrata, ripetendo il gesto della frazione del pane compiuto da Gesù nell’ultima cena. Era la cena pasquale che ricordava l’agnello di cui si cibarono gli Ebrei prima di uscire dall’Egitto. L’invocazione “Agnello di Dio” diventa a noi comprensibile solo se ci è familiare il libro dell’Esodo e l’annuncio di Giovanni Battista.

LA COMUNIONE È UN AFFARE SERIO

Dicono i Vescovi che, al momento della Comunione, «il sacerdote si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio». Andare fare la Comunione è obbedire alla parola di Gesù che ha detto: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». È un gesto di grandissimo valore ed importanza, è di origine divina, e dobbiamo trattarlo in modo conveniente, evitando di essere banali o superficiali. Nella 1a Lettera ai Corinzi S. Paolo, dopo avere ricordato come è avvenuta l’Ultima Cena, scrive: « Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna».   [1 Cor 11, 26 – 29. Il valore della Comunione lo si approfondisce riflettendo sulle parole di Gesù stesso. [Gv 6]. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame ». « Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». Ci si può chiedere: Riconosco nell’Eucaristia la presenza del Signore? Di che cosa ho fame nella mia vita? È importante per me credere nella vita eterna? Tengo presente nel mio cuore che Gesù dimora in me e io in lui? Per completare la preghiera del popolo di Dio e per concludere tutto il rito di Comunione, il sacerdote recita un’orazione in cui invoca i frutti del mistero celebrato. Nel giorno di Pentecoste, ad esempio, chiede a Dio: «Custodisci in noi il tuo dono, perché in questo cibo spirituale che ci nutre per la vita eterna, sia sempre operante in noi la potenza del tuo Spirito». La benedizione del sacerdote conclude la Messa e “ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio”.” (cfr. qumran.net)