Il Centurione di Gerusalemme
In occasione del primo sinodo della Chies Ordinariato Militare in Italia indetto il 25 ottobre 1996 ad Assisi sulla tomba di San Francesco l’Arcivescovo Ordinario Militare di quel tempo (Mons. G. Mani) scrisse alcune riflessioni sui centurioni, oggi voglio riproporvi quella sul Centurione di Gerusalemme a margine della Celebrazione della Domenica delle Palme dove abbiamo proclamato dal vangelo di Luca la Passione. Il presule sottolinea la figura del soldato romano e oggi anche per noi diventa occasione di riflessione e di preparazione ai giorni della Settimana Santa.
“Straordinaria la figura del centurione che, dalle ricerche fatte, pare che fosse italiano, essendo in quel periodo distaccata in Palestina la Legione Julia. Aveva seguito per tutta la via Crucis il Condannato, aveva visto Maria abbracciarlo, lo aveva spogliato e contemplato flagellato e crocifisso, tutto eseguito da lui e dal suo picchetto di soldati; era il suo lavoro di quel giorno: eseguire una Crocifissione. Ma durante tutta la Via Crucis, accanto a Cristo, lo Spirito Santo agiva nel suo cuore e preparava il primo atto di fede nel tempo, appena compiuta la Salvezza: “Quest’uomo era veramente il Figlio di Dio!”. (cfr. SER G. Mani)
“Con lo sguardo fisso al centurione di Gerusalemme, scorriamo il racconto della passione di Cristo come descritta dall’evangelista Marco, per comprenderne il significato nascosto. Il cristiano quando guarda alla morte di Gesù, sa di trovarsi di fronte all’evento più grande della storia, rischiando però di credere che tutti i protagonisti del racconto evangelico, fossero consci di questo, …ma non può essere così. Solo tenendo fermo questo presupposto si può percepire la grandezza della fede del centurione romano sotto la croce, una grandezza tale da divenire un modello per tutti noi. Il Vangelo di Marco è stato composto a Roma e destinato ai cristiani della città eletta che in quegli anni stavano fronteggiando la prima grande persecuzione. L’esempio di un valoroso soldato, romano come loro, che si era guadagnato la salvezza non con la spada, ma con la fede, non era forse il più bello da presentare loro? Il centurione, quando quel mattino era entrato nel Pretorio di Pilato per svolgere il suo servizio, non poteva immaginare che di lì a poche ore avrebbe incontrato il Figlio di Dio e che la sua vita sarebbe definitivamente cambiata. “E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso” (Mc. 15, 15). Tutto è chiaro: il processo si conclude con la sentenza e Pilato consegna Gesù al centurione e ai suoi soldati per l’esecuzione della condanna. Non è un incarico gradito: i veri soldati non amano questo compito da giustizieri che non ha nulla di glorioso, né di eroico. I soldati venivano incoraggiati a svolgere questo “lavoro sporco”, permettendo loro di dividersi i pochi effetti personali dei condannati: poca roba, perché spesso si trattava di delinquenti incalliti, schiavi o ribelli, gente che non poteva possedeva abiti di valore. Nel caso di Gesù la veste, forse, era uscita dalle mani di Maria: bella, tutta d’un pezzo, tanto che i soldati dissero: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca” (Gv. 19, 23). Il centurione esegue il suo incarico. Gesù viene portato nel Pretorio, in quel cortile dove i soldati si riuniscono, vengono inquadrati prima di uscire in missione. Lì bisogna aspettare l’arrivo di tutti e tre i condannati perché il loro supplizio possa cominciare con la flagellazione: una tortura supplementare che aveva lo scopo di accorciare notevolmente la vita dei condannati. Durante l’attesa la soldataglia comincia a divertirsi alle spalle di Gesù: “Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciano poi a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!” E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui” … CONTINUA
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