700 anni dalla morte di Dante Alighieri

 

Tra le cose più care che conservo da sempre c’è una pubblicazione minuscola della Divina Commedia, edita per compito di Ulrico Hoepli da una Tipografia di Firenze, datata 1911, un cimelio, dono del mio vecchio professore di Greco, che porto sempre con me insieme al breviario. Una elegante e singolare edizione che racchiude l’opera correlata di note e che nella presentazione al lettore dice: “questo nuovo commento è il più breve, o certo uno dei più brevi che siano stati fatti sino ad ora. L’edizione, per la piccolezza del testo, per la sottigliezza della carta speciale, per la mitezza del prezzo, per i caratteri rotondi e nitidissimi, fa onore al buon gusto del chiaro editore milanese dottor Ulrico Hoepli, che tutte queste particolarità raccomandava al suo prediletto tipografo fiorentino, perché il libro nonostante le postille fosse facilmente tascabile e al tempo stesso potesse leggersi senza alcun sforzo…”. (Cfr. dalla presentazione ai Lettori dell’opera)

Con questo ricordo e cimelio personale e trovandomi in terra di Romagna, Ravenna, città dove Dante Alighieri visse i suoi ultimi anni, dove vi morì esule da Firenze e custodisce le sue spoglie mortali ancora oggi, consapevole della ricchezza culturale e di fede di questo poema, studiato nel periodo della formazione classica e da sempre letto e citato, oggi, voglio portarlo alla vostra attenzione in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica CANDOR LUCIS AETERNAE di Papa Francesco, scritta per i settecento anni dalla morte di Date Alighieri.

Non posso, ora, che rimandarvi alla sua lettura e l’invito a rileggere l’opera in chiave di speranza e misericordia, così come ci viene ricordato nell’articolo che segue, apparso sul sito Vaticannews e in una intervista al Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Una ricchezza, quella di Dante, che illumina la cultura e la fede del mondo e che da sempre la Chiesa ricorda come segno di attualità e perennità di essa. Le lettere che i Pontefici hanno scritto e da ultima quella che vi propongo di leggere oggi, ci invitano alla bellezza, alla passione, all’amore e alla fede con uno sguardo alto di speranza.

@unavoce

“A 700 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1321 a Ravenna, in doloroso esilio dall’amata Firenze, Dante ci parla ancora. Parla a noi, uomini e donne di oggi, e ci chiede di essere non solo letto e studiato, ma anche e soprattutto ascoltato e imitato nel suo cammino verso la felicità, ovvero l’Amore infinito ed eterno di Dio. Così scrive Papa Francesco nella Lettera apostolica “Candor lucis aeternae – Splendore della vita eterna”, pubblicata oggi, 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore. La data non è casuale: il mistero dell’Incarnazione, scaturito dall’”Eccomi” di Maria, è infatti – spiega il Pontefice – “il vero centro ispiratore e il nucleo essenziale” di tutta la “Divina Commedia” che realizza “la divinizzazione” ovvero “il prodigioso scambio” tra Dio che “entra nella nostra storia facendosi carne” e l’umanità che “è assunta in Dio, nel quale trova la felicità vera”.

Cantore del desiderio umano di felicità

Dante non si rassegna mai e per questo è “profeta di speranza”: perché con la sua opera spinge l’umanità a liberarsi dalla “selva oscura” del peccato per ritrovare “la diritta via” e raggiungere, così, “la pienezza della vita nella storia” e “la beatitudine eterna in Dio”. La sua è dunque “una missione profetica” che non risparmia denunce e critiche contro quei fedeli e quei Pontefici che corrompono la Chiesa e la trasformano in uno strumento di intesse personale. Ma in quanto “cantore del desiderio umano” di felicità, l’Alighieri sa scorgere “anche nelle figure più abiette ed inquietanti” l’aspirazione di ciascuno a porsi in cammino “finché il cuore non trovi riposo e pace in Dio”.

Poeta della misericordia di Dio

Il cammino indicato da Dante – spiega ancora Papa Francesco – è “realistico e possibile” per tutti, perché “la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare e di convertirsi”. In questo senso, l’Alighieri è “poeta della misericordia di Dio” ed è anche cantore “della libertà umana”, della quale si fa “paladino”, perché essa rappresenta “la condizione fondamentale delle scelte di vita e della stessa fede”. La libertà di chi crede in Dio quale Padre misericordioso, aggiunge, è “il maggior dono” che il Signore fa all’uomo perché “possa raggiungere la meta ultima”. (Cfr. Vativannews)

 

“La vita di Alighieri esule cosa dice all’uomo e alle donne di oggi? La sua esperienza evidentemente è abbastanza drammatica. Quasi tutta la sua esistenza sarà fuori di quell’orizzonte che egli ama, pur sempre; Firenze è nel suo cuore, tant’è vero che ricorderà quel suo “il mio bel San Giovanni”. Non dimentichiamo che Paolo VI ha fatto consegnare al Battistero di Firenze, il San Giovanni, una corona d’alloro in memoria del poeta e ha anche dato – questo non lo si sottolinea – a tutti i padri conciliari una edizione della Divina Commedia. Quindi il fiorentino Dante è pur sempre la figura che noi abbiamo in mente e che lui stesso credo amava rappresentare, nonostante lo sdegno per ciò che aveva subìto. Però egli era alla fine anche una sorta di pellegrino che poi morirà all’estero. Vive il paradigma di un autentico viaggio in cui l’umanità tutta è coinvolta. E’ il pellegrinaggio attraverso “l’aiuola che ci fa tanto feroci” – cioè il nostro mondo, come dice nel canto XXII del Paradiso – per giungere a una condizione sperata che per lui non si realizzerà. Anche se quando muore a Ravenna è piuttosto sereno, protetto, alla fine dentro di lui quell’armonia, quella pace e quella felicità sono sempre ancora da raggiungere ed è per questo che le canterà nel Paradiso. E’ per questo che è stato un pellegrino della storia, un esule come tanti oggi che cercano un approdo a un litorale diverso, a una spiaggia diversa, tenendo sempre alta “la fiaccola dell’alto disìo”. (Cfr. Vaticannews)

 

 

Foto di Copertina: Opera La Divina Commedia ed. Hoepli, Firenze 1911 – collezione privata.