… non la morte ma la vita»
Con questa frase, che prendo dall’Omelia del nostro Arcivescovo l’Ordinario Militare in occasione della celebrazione dei Caduti, nel giorno dell’arrivo del treno da Aquileia per commemorare i 100 anni del Milite Ignoto, vorrei portare alla vostra attenzione l’Omelia che il presule ha tenuto, lo scorso 2 novembre, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli alla presenza del Capo dello Stato e delle massime autorità politiche, civili e militari. Una riflessione che sono certo potrà aiutare il ricordo, la celebrazione e la memoria di oggi.
“Ci ritroviamo, come di consueto, per la Liturgia dedicata ai nostri defunti, in particolare ai nostri caduti; e lo facciamo, quest’anno, nel centenario delle celebrazioni per il Milite Ignoto. Molte sono le iniziative previste per questa ricorrenza; noi vogliamo custodirne il ricordo nella preghiera e attingere senso dalla dimensione trascendente che accompagna ogni evento della storia umana, anche i più luttuosi, aiutati dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.
Avanzavo tra la folla…, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa.
Le parole del Salmo 41 sembrano risuonare sulla bocca di quel soldato, nell’ultimo viaggio in treno che ha attraversato l’Italia da Aquileia a Roma, salutato davvero da una «moltitudine». Anche se costellato di lacrime, quel viaggio è diventato un misterioso segno di speranza per il nostro popolo, qualcuno lo ha letto come una forma di elaborazione del lutto dei tanti morti in guerra; in ogni caso, fu un evento in cui l’Italia ha trovato uno straordinario senso di unità e di Patria, inchinandosi dinanzi al dolore di un figlio e di una madre, nel quale tutti hanno ritrovato e condiviso il proprio dolore verso figli, genitori, fratelli, amici… un’esperienza di Patria che è esperienza di relazioni.
Avanzavo tra la folla… fino alla casa di Dio.
Il viaggio del Milite Ignoto fu simbolo del cammino verso la casa di Dio: il cammino dei soldati di ieri, dei militari di oggi, di tutti coloro che, a diverso titolo, operano per la città dell’uomo e sono impegnati in un percorso di pace atto a rendere «casa» ogni Nazione.
I caduti in guerra si erano allontanati, da giovani, da una casa mai più rivista. Ancora oggi si allontanano da casa tanti giovani e anziani, uomini e donne; tanti soldati, anche bambini soldato, così come tanti profughi e migranti in fuga da guerre, da fame, da persecuzioni; ancora oggi lasciano le proprie case tanti malati in cerca di cure, tante persone in cerca di lavoro; e in tanti perdono la casa perché impoveriti dalla crisi, anche la più recente, o a motivo di diverse calamità naturali, spesso indotte dall’incuria della terra e dalle manipolazioni del creato…
Quel soldato che oggi ricordiamo ha lasciato la sua casa ma è simbolo di una guerra finita, di una pace che è possibile quando la “logica della casa”, per così dire, riesce a ispirare il servizio al bene comune.
Sì, lavorare per la pace significa rendere “casa” il nostro Paese, la nostra Europa, le singole comunità. La visione che la seconda Lettura (Ap 21,1-5a.6b-7) mostra è stupenda e, pur se può sembrare utopica e tendente solo al futuro, è in realtà modello di una città costruita a misura di “casa”, dove si lotta perché non ci sia «morte, lutto, lamento, affanno…». Un luogo in cui si sviluppano politiche di accoglienza e inclusione misurate sui bisogni dei più poveri; dove si è attenti al mondo della sanità, rendendone sempre accessibili i servizi pubblici, come il Papa continua a ripetere e tutti abbiamo confermato necessario in questa pandemia; dove si curano gli ambienti di lavoro, con la loro sicurezza; dove si punta a una distribuzione equa delle risorse, senza negare l’acqua a chi ha sete, come dice l’Apocalisse; ovvero, guardando ai bisogni primari della persone e intercettando quelli profondi. Una casa in cui ogni lacrima sia asciugata, con la stessa pietà che, dopo la guerra, ha tentato di restituire simbolicamente alle madri il figlio che non potevano neppure piangere.
In questo giorno dedicato ai defunti, pur non celebrando al Verano, noi onoriamo il Milite Ignoto che riposa in un luogo degno della persona.
Questo soldato è simbolo di chi ha donato e dona la vita per difendere la vita e la dignità della persona, la cui centralità è cifra di un mondo più giusto, edificato sulla pace e sul bene comune, quale bene integrale di ogni persona, nella sua unicità irripetibile.
Anche il soldato che ricordiamo è unico e irripetibile: è ignoto ma non anonimo!
Egli rappresenta tutti i nomi ma ha il suo nome, che noi non conosciamo, così come non conosciamo molte cose dell’uomo, mistero che sempre ci supera.
Il Milite Ignoto è uno ma, in lui, ci sono i volti di tutti, come in coloro che Gesù, nel Vangelo (Mt 5,1-12a), rende protagonisti attraverso le Beatitudini.
Una folla immensa, disarmata potremmo dire; fatta di poveri e di puri, di miti e misericordiosi, di operatori di pace e giustizia, di affamati e perseguitati. La folla dei nostri caduti e di tutte le vittime di logiche di violenza e di guerra; vittime che non si calcolano solo in numeri, perché ciascuno è in sé valore assoluto.
Pure costoro possono essere «beati», felici, dice Gesù; «giusti» che sembrano morire ma «sono nella pace», fa eco il Libro della Sapienza (Sap 3,1-9).
È l’invito a cercare e promuovere una logica nuova, come nuova è la pace, sempre da ricostruire in situazioni diverse. La logica di una rinascita forse intravista, desiderata da chi salutava il Milite Ignoto, toccando con mano, tra le macerie della guerra, il fallimento del dominio dei potenti sui deboli e imparando invece la forza della vittoria del bene sul male, lezione di cui la memoria è maestra.
Carissimi, tale lezione è forse ancora da imparare: è ancora da imparare la lezione della guerra, come la lezione della pandemia, che sembrava aver acceso i riflettori sulle povertà e stimolato risposte di solidarietà fraterna e unità di popolo simili a quella sperimentata nel viaggio del Milite Ignoto. Ma per troppo poco tempo!
La memoria, dunque, non basta; occorre, dicevamo, il ricorso al trascendente, quale chiave interpretativa della storia e sorgente di fiducia in ogni uomo.
Il credente intravede qui l’opera di Dio Creatore, che semina il germe di bene nel cuore umano, e la Sua vicinanza di Padre che non abbandona il suo popolo ma abita con noi e rende la terra una casa, una «tenda di Dio con gli uomini». Lui dona forza a chi opera per la pace, Lui asciuga le lacrime delle madri, nelle quali la fede vede il dolore fecondo della Madre di Dio e di tutti coloro che piangono i propri caduti e i propri defunti; Lui inaugura la logica delle Beatitudini, vero e proprio “ritratto” di Cristo, nella vita e nella morte.
«Beati i poveri in spirito»… Alcuni esegeti leggono in questa prima beatitudine la condizione mortale di chi non ha più “spirito”, aria. Lì Gesù è arrivato, morendo asfissiato in Croce per l’umanità e donando una speranza di vita; lì si può rileggere la speranza donata da chi perde la vita offrendola per gli altri, nel servizio quotidiano come in campo di battaglia.
Così, ricordare il Milite Ignoto e tutti i nostri caduti significa ritrovare nel “dono sé” il senso di ogni ruolo, ogni compito e dell’intera esistenza, celebrando non la guerra ma la pace, non la morte ma la vita”. (cfr. S.E.Rev.ma Mons. Santo Marcianò, Ordinario Militare per l’Italia)
Foto di Copertina: Celebrazione 2 novembre in Santa Maria degli Angeli, Roma