sulle strade polverose del mondo

 

Il popolo che camminava nelle tenebre
vide una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse. (Isaia, 9,1) 

 

 

Con ancora neggli orecchi la Parola del Vangelo proclamato domenica scorsa, vorrei con voi soffermarmi su questo aspetto, su questa parola che domenica scorsa è stata usata a commento della Liturgia: nomadi.

La nostra fede non è statica, ma in movimento, se si ferma si svuota. Penso in questo momento alla vicenda narrata dal Libro dell’Esodo. “La permanenza degli Israeliti in Egitto fu di quattrocentotrent’anni. Al termine dei quattrocentotrent’anni, proprio in quel giorno, tutte le schiere del Signore uscirono dalla terra d’Egitto. Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dalla terra d’Egitto. Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in generazione”. (Esodo 12, 40 – 42)

Il popolo d’Israele, schiavo per una vita, viene liberato ma come? Conosciamo la vicenda (vi invito a rileggere il Libro dell’Esodo), attraverso un cammino lungo più di una generazioni, anzi quasi due generazioni, pertanto questo mi fa pensare che non è un caso.

Non sono andato a verificare il pensiero ufficiale dei Biblisti come leggono il cammino di questi quarant’anni nel deserto per giungere alla terra promessa, se come un cammino di purificazione o altro, io vorrei leggerlo e chiedo di perdonare questa licenza, certo di non cadere nell’infedeltà del testo, ma nella interpretazione ufficiale della Chiesa, come una dimensione normale della vita della fede, un cammino fatto di ricerca attraverso alti e bassi, di fedeltà e infedeltà, di cadute e di rialzamenti … e questo mi dice allora che è la dimensione normale della fede e della vita cristiana. Essere nomadi per essere veri, autentici, per essere testimoni, per essere in continuo rinnovamento, in continua ricerca, per non fermarsi sugli allori ma per cercare continuamente il Signore, “cercate il Signore mentre si fa trovare” canta Isaia al capitolo 55,6-9.

Cercare è la dinamica di chi non si ferma, di chi vuole sapere, di chi vuole conoscere, di chi vuole condividere e non è forse questo il messaggio cristiano? essere fratelli tra di noi al di là di barriere umane che abbiamo costruito. 

Nomadi quindi per accorgerci di chi incontriamo, nomadi perché siamo chinati ad aiutare come il Samaritano sulla via di Gerico, nomadi come Abramo che lascia la sua terra per andare oltre, nomadi pronti al sacrificio per il bene di tutti, nomadi pronti a rimettersi in gioco per recuperare la strada, nomadi ma con una meta: Cristo! Un essere “sulle strade polveroso del mondo” per non perdere nessuno e per non perdere nessuno bisogna camminare, bisogna cercare, bisogna fare delle soste per recuperare il fiato ma “pronti con le cinture ai fianchi e le lanterne accese” per ripartire.

La Chiesa di Cristo ha in se questo valore che se pur nel tempo sembra non essere sempre stato atteso, in verità però se leggiamo oltre la polvere del tempo scorgiamo che in animo e nelle azioni l’ha sempre tenuta a mente, forse abbiamo sbagliato i metodi ma sempre portesi verso gli altri. Del resto anche i discepoli non sono stati perfetti, ovviamente, solo Cristo lo è e ci può indicare la strada. Se ci allontaniamo da Lui il rischio è di perdersi e di fermarsi a costruire la torre di Babele, ma nel popolo santo di Dio, tra leviti e laici, ci sono nomadi e accasati e oggi è il tempo di “scuotere la povere dai sandali” e ripartire, è il tempo di guardare il cielo e farci guidare dalle stelle, è il tempo di avere l’odore delle pecore e il sudore della fatica per recuperare il sentiero che si rischia di perdere dimenticando il traguardo che è la terra promessa, che è incontrare Cristo.

Oggi, come ieri e come sarà domani, abbiamo il dovere e l’obbligo di vivere questa vita nel modo migliore, con uno sguardo aperto, ampio, accogliente, ospitale. Si!, ospitale come i popoli nomadi ci ricordano, ospitale e senza giudizi o pregiudizi salvando i valori e le tradizioni, ma con la voglia di capire, di comprendere, di rispettare ogni cammino.

Recuperiamo questo senso d’instabilità e d’insicurezza di cui il nomade si circonda e che se anche ricerchiamo umanamente e naturalmente la sicurezza, questa attività di continuo movimento che talvolta ci fa paura, ci aiuterà a recuperare noi stessi, il vero occhio che vede con il cuore e non solo con la mente, ci aiuterà a recuperare il bello di quello che ci circonda, il bello di raggiungere una meta con fatica, con impegno, superando ostacoli e avversità, sapendo che Dio mi ama che è Lui il compagno vero di viaggio che ha il volto e il nome di chi incontriamo, che sia bianco o nero, cristiano o altro. Nomadi per essere veri, per essere creativi, capaci di grandi cose.

Il termine nomade deriva dal greco νέμειν, che significa, uno stile di vita legato all’allevamento degli animali, che, al tempo stesso, comporta un movimento nello spazio. Ora, essere nomadi, cosi ma nel cuore della Chiesa, senza perderci con idoli d’oro e vitelli grassi, nomadi con una stella che ci guida e per lasciarci guidare allora bisogna alzare lo sguardo e cercare nel buio quella luce che indica il cammino e la luce è solo Cristo e la stella è solo Lui. La stella del mattino che preannuncia il sorgere del giorno, il sorgere della vita rinnovata in Lui. La tradizione vuole che questa espressione “stella del mattino” sia riferita a Maria e Lei, strumento nelle mani di Dio, diventa la Madre Santa che ci ha donato Cristo e che ci aiuta in questo percorso e in questo “vagare come nomadi” per avere sempre una fede grande e capace di grandi cose.

Impariamo la spiritualità della strada, impariamo dalla vita quotidiana nostra e di chi incontriamo, impariamo il valore delle cose e delle persone per quello che sono, apriamo la nostra mente ad accogliere e a non respingere, ad amare e non a giudicare, impariamo a rimboccarci le maniche prima di chiedere che altri lo facciano.

I nomadi sono fratelli tra fratelli e allora questa è la strada indicata da Cristo per vivere la vita e per viverla appieno verso la terra promessa per giungere alla vita eternamente davanti al Signore del tempo e della storia, al Re del mondo.

La nobiltà di tutto questo non sta nel palazzo d’avorio, ma sta nel servizio che ci scambiamo gli uni gli altri, la nobiltà vera è la carità che ci usiamo tra di noi che diventa oro, avorio, eleganza, eloquenza, gentilezza, palazzo, … Sia questo il nostro impegno e vi auguro il cammino che insieme intraprendiamo sulle strade polverose di questo mondo che possano trasformarsi in un giardino che tutti possono abitare.

@unavoce

 

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