controcorrente

 

Quanto è difficile vedere le cose con occhi positivi, vedere il bicchiere mezzo pieno, accorgersi del bello e del bene. Oggi, più che non mai, non c’è fede o ideologia, carattere o impegno che non faccia leggere tutto in chiave negativa e polemica. Questo che sto dicendo non è per mettere la testa sotto la sabbia e non vedere le situazioni tristi o drammatiche che ci circondano e che balzano agli occhi dalle notizie quotidiane del mondo, ma voglio dire che fatichiamo a vedere nel buio la luce, fatichiamo a vedere la creatività nelle persone, il buono che c’è e sottolineiamo solo l’errore e non solo a livello sociale, nazionale e internazionale ma nelle nostre realtà locali, famigliari e di vita quotidiana. Tutto è male e tutto è negativo.

Lo sforzo e l’impegno che tutti dovremmo avere è quello di vedere le cose e valutarle per quello che sono e affrontarle con uno spirito critico e costruttivo, attraverso scelte e linguaggi che costruiscano il bene e il bello e non solo per noi ma per la collettività.

Nessuno vuole la guerra, nessuno vuole essere schiavo di questa o di quella politica, ideologia, cultura o religione. I potenti della terra determinano il futuro di un popolo e questo ci deve portare a riflettere con intelligenza e a rivendicare i diritti facendo proposte avendo presente l’insieme per migliorare nella dignità, nella libertà e nella democrazia attraverso forme e modi positivi.

Le croci della vita ci pesano, i limiti umani, le difficoltà di lavoro, di studio, di vita ordinaria ci provocano ma se guardiamo con attenzione ci accorgeremmo che ci siamo adeguati e andare controcorrente non riusciamo, facciamo fatica, oppure ancor peggio diciamo che non si può fare. Andare contro l’opinione di un gruppo, qualunque esso sia, produce divisione, attriti ed emozioni negative. Un litigio per un qualsiasi motivo, in casa o nella comunità, sul posato di lavoro o con gli amici, crea disagio, dolore, tristezza.

La nostra storia personale e sociale si definisce sempre all’interno di un gruppo perché in esso condividiamo o non condividiamo determinate idee o modi, che sia la famiglia, gli amici o i colleghi di lavoro o il gruppo di appartenenza, perché la massa in qualche modo crea pensiero o protezione. Ora, queste realtà ci aiutano a mantenere le nostre idee, a star bene, ad aumentare la nostra autostima e ci danno la convinzione di essere nel giusto. L’errore è sempre e solo degli altri. Così facendo, però, ci siamo conformati a qualche cosa che ci aiuta a star bene o credere che ci faccia stare bene, ma – nella storia – situazioni analoghe hanno portato a drammi inauditi, non dobbiamo dimenticarlo. Il gruppo ci ha condizionato in qualche modo. Al riguardo ci sono studi che dimostrano quest’atteggiamento. Ci siamo conformati rinunciando alle proprie idee e questo porta all’errore perché penso sempre e solo di aver ragione e in questo modo di fare si va incontro al contrasto, alla follia di una vita che crea solo problemi. La pressione del pensiero comune distorce il nostro, la nostra libertà e le nostre opinioni.

Questo fenomeno, senza necessariamente leggere studi tecnici al riguardo (puoi confrontare e approfondire leggendo la ricerca di Solomon Ash, un sociologo polacco), lo intuiamo anche noi vivendo gran parte del nostro tempo guidati in qualche modo dal pensiero della massa che attraverso i social crea pensiero, stile ed essendo tutti noi fragili, da questo punto di vista, per differenti motivi che potrebbero essere: piacere agli altri, essere alla modo, credersi liberi, … ci porta a rimanere schiacciati da un’opinione sociale che non condividiamo ma che alla fine viviamo senza porci tante domande.

Accorgerci delle diversità o essere anticonformisti non significa essere dei rivoluzionari ne adeguarsi a determinati stili di vita o pensieri, ma si tratta di imparare a pensare con la propria testa e a non fare necessariamente quello che fa la massa, almeno non in tutto e per tutto e a ogni costo. Perché non ci comportiamo così? Molte volto solo per non discutere, per non star male, perché non vogliamo litigare … o mettere in discussione i luoghi e le persone con cui condividiamo il tempo e lo spazio o forse per paura di rinunciare in qualche modo a quello stile che pur non condividendo ci fa star bene o non ci fa pensare più di tanto. Come affrontare questo dilemma? Mettendo in cantiere di poter aver sbagliato, di non aver valutato bene le situazioni e cercando non solo l’errore o il limite nell’altro ma il bene e il bello che da tutto questo può o potrebbe emergere. Questo vale nella vita ordinaria sociale, ma anche nella fede e nella vita della Chiesa. Conformarsi a uno stile che sia positivo e mai a discapito di qualcuno o di qualche cosa, non per egoismo ma per amore, non per invidia ma per stima, non per pace apparente ma per una pace vera, armonica, creativa. Risalire la corrente non per fare il contrario necessariamente ma per recuperare la vita, la vera vita libera, ricca e amorevole, risalire la corrente per costruire bene e amore, pace e solidarietà, lavoro e dignità, rispetto e serenità per tutti.

Mi vengono alla mente le parole del Libro del Profeta Daniele (3,14–20.46.50.91–92.95) nella vicenda dei tre uomini che il re voleva obbligare ad adorare la statua da lui creata e il loro rifiuto per rimanere fedeli al loro Dio anche a costo della vita e questa fedeltà li premierà. L’insegnamento allora che ne traiamo è la fiducia, la fede. Non si va contro corrente per il gusto di fare il contrario, non si risale la corrente per fare la differenza, ma perché ne va della vita stessa. Impariamo a fare la differenza con una vita autentica, vera, non lasciamoci assorbire dalla massa ma impariamo ad essere lievito che fa fermentare la massa nel bene, nel bello, leggendo ogni aspetto positivo che ci circonda e diradando così la nebbia che avvolge il cuore e l’anima di molti facendo intravedere la luce nel buio.

@unavoce

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