della Speranza

 

Fratelli, quand’anche uno sia stato còlto in qualche fallo, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. E bada bene a te stesso, che talora anche tu non sii tentato. Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. (Galati 6, 1-2) 

Rendere ragione della speranza che è in noi (1Pt  3, 15)

 

La malattia è un’esperienza particolare nella vita delle persone e quando si abbatte su di noi, un famigliare o amici diventa insopportabile nonostante la fede e in queste situazioni si rischia di perdere il coraggio e soprattutto la speranza.

Molti tra noi vivono questa esperienza e oggi con voi vorrei proporre una semplice riflessione (che mutuo da due studi ai quali pur citandoli in parte vi rimando per la loro lettura integrale) affinché possa in qualche modo aiutare noi e chi tra noi vive questa strada della mattia personale, di figli, parenti o amici.

Non è pensabile e non è spiegabile e non ci sono risposte di fronte a situazioni complicate e difficili come una malattia grave e più cerchi risposte e più cadi nel baratro del dolore con il rischio di cadere nella disperazione, pertanto a questi famigliari, amici o parenti vorremmo essere vicini, sostenerli e dire una parola che consoli il cuore sanguinante che li sorregga quando la strada si fa più dura, quando si pensi al futuro. Vorrei dire con umiltà di non cercare risposte ma solo fidarsi e credere nel Signore, pur facendo tutto quello che è possibile per scongiurare e sconfiggere la malattia, ma offrendo a Dio la situazione e godendo ogni giorno del bello che rimane in noi, del respiro della vita, del sorriso e della gioia che deve rimanere nel cuore.

Non ci sono ricette o parole che possano alleviare il dolore che porti dentro, ma in questo momento è importante anche la nostra amicizia e vicinanza spirituale alle persone a care per sostenerle in questo cammino aiutandole a non perdere lo sguardo lungo per vivere il momento presente. 

“Sai, la paura utilizza molti canali. Nasce come reazione a una percezione dei sensi: un rumore inatteso e magari sinistro; un’immagine distorta, mostruosa, perfino violenta; ma pure un ostacolo sul cammino, un odore mortifero, un sapore acre e maligno … una malattia. C’è dell’altro. Il nostro sentire, la percezione della realtà nella quale siamo immersi, procede anche al di là di tutto ciò, quando nessuno dei cinque sensi ci porta qualcosa che, in sé, potrebbe scatenare la paura. Eppure, quella c’è. Accade come se il nostro corpo percepisse un pericolo; a quel punto è il nostro stesso corpo «a far spaventare» la nostra mente. Questo è quello che stai vivendo, ma non senti solo questo. No. Noi tutti noi, gli esseri umani, siamo in grado di sentire anche il sentire degli altri. Dunque, noi non abbiamo paura solo per ciò che ascoltiamo, vediamo, tocchiamo, odoriamo, assaggiamo. Noi abbiamo paura quando sentiamo la paura degli altri. E quella paura risuona come «da dentro» di noi. A quel punto, anche noi abbiamo paura e quella stessa paura, a nostra volta, la trasmettiamo. La paura che viene da dentro, assieme alla paura che nasce come reazione a ciò che i nostri cinque sensi registrano, rende la paura come al crocevia di molte paure diverse. Quella che viene dai sensi forse potrà essere affrontata, cercando di essere obiettivi, realisti; aggirata, distraendosi; reinterpretata, leggendo o ascoltando opinioni in controtendenza; risignificata, razionalizzando o spiritualizzando per quel tanto che si può, e qualche volta a costo di deformare l’immagine stessa di Dio. Con la paura che viene da dentro, però, c’è caso che tutte quelle strategie non funzionino. Quella che viene da dentro, se poi ha a che fare con la malattia, colpisce il corpo perché il corpo non ne vuole sapere di «finire». E si ribella. I discorsi rassicuranti, le riflessioni morali o quelle che paiono spirituali non sempre lo tranquillizzano. Qualche volta lo infastidiscono pure. La ricerca di senso, anche all’interno di eventi di crisi, quando è in gioco la stessa vita fisica è tutt’altro che priva di senso. Non è detto, però, che il corpo si sottometta a certi ragionamenti. Il corpo semplicemente non vuole smettere di vivere. Abbiamo paura. Interiormente può succedere che ci sentiamo come sdoppiati: viviamo, guardiamo avanti, consoliamo, preghiamo, reagiamo, osiamo sorridere. Ma il corpo trema, lo stomaco pare annodarsi, sentiamo nausea, rifiuto, vertigini, finanche panico. Il dolore diventa reale e la paura si trasforma poi in terrore quando il contagio colpisce una persona che conosciamo, con un volto e un nome precisi. Il rischio è che si creda che si possa controllare la paura continuando a rimuginare, oppure a parlare, parlare, parlare, ci si può arrabbiare ma non è così, lo sforzo da fare è quello di avere uno sguardo reale e concreto senza mai perdere la speranza, sperare contro ogni logica, ma con la consapevolezza della gravita vivendo ogni istate come unico e un prezioso dono.

Non so quale sia il livello della tua fede e in questi casi potrebbe cedere ma la speranza cristiana non è alternativa alla paura. Al contrario: la riconosce e la assume. È l’esperienza di Gesù nell’orto degli ulivi: non solo Egli non si sottrae alla propria passione, ma parte di quella passione è nella paura sperimentata dal Figlio di Dio. Nemmeno a quella Egli si sottrae. Pur nella paura, Egli si affida. E così facendo divinizza anche la nostra paura. Anche avere paura, accogliendola per quella che è e senza travestirla di recriminazioni, congetture, arrabbiature, ci rende simili a Lui. A quel punto possiamo affidarci e affidare al Padre la nostra vita e quella di coloro che amiamo. E la speranza ci viene donata. Lo Spirito di Cristo ci dia il coraggio di avere paura”. (cfr. d. S. Guarinelli)

“Ogni giorno rinnovare la speranza è un atto sacro che dà onore e dignità alla nostra esistenza. La speranza non vuole piegarsi all’ineluttabile fatalità della sofferenza e del dolore. Anzi, la speranza vuole dirci che noi possiamo trasformare quel dolore. Vi è un’altra grande risorsa accanto alla speranza che ci permette di superare i traumi, di vincere i dolori e di rialzarci dalla polvere in cui siamo caduti: si chiama resilienza. Non dimentichiamo mai che la speranza è quel faro che dovrebbe guidarci e illuminarci dall’inizio alla fine di questa esistenza”. (Cfr. P. Lombardo)

Lo so, sono solo parole ma vorrei con queste sostenere la tua e la nostra speranza, aiutarci nella paura, dirci che siamo vicini anche se non possiamo fare molto, esserci per uno sfogo, per una pausa, per una lacrima o un sorriso, per aiutare a portare il peso che talvolta diventa insopportabile.

Le parole dell’Apostolo possano illuminare il nostro cammino: “Infine, siate tutti concordi, compassionevoli, pieni di amore fraterno, misericordiosi e umili; non rendete male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedite; poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione. Infatti: «Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra dal dire il falso; fugga il male e faccia il bene; cerchi la pace e la persegua; perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti alle loro preghiere, ma la faccia del Signore è contro quelli che fanno il male». Chi vi farà del male, se siete zelanti nel bene? Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomenti la paura che incutono e non vi agitate; ma glorificate il Cristo come Signore nei vostri cuori. Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni. Ma fatelo con mansuetudine e rispetto, e avendo una buona coscienza; affinché quando sparlano di voi, rimangano svergognati quelli che calunniano la vostra buona condotta in Cristo. Infatti è meglio che soffriate per aver fatto il bene, se tale è la volontà di Dio, che per aver fatto il male”. (1° Pietro 3,8-17)

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