Liturgia della Parola

XII Tempo Ordinario

L’annuncio del Vangelo richiede che ciò che Gesù ha detto nell’intimità sia proclamato in pieno giorno

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. (Mt 10,27)

 

Lasciamoci affrancare nella fede, in questo piccolo “francobollo di spirituale”, con le parole di Enzo Bianchi: “Nel vivere il Vangelo e nell’annunciarlo alle genti, i discepoli di Gesù incontrano diffidenza, chiusura, ostilità e rifiuto. In queste situazioni la tentazione è tacere la speranza che abita il proprio cuore, restare silenti e nascondere la propria identità, magari fino a fuggire. Ma Gesù avverte: il tempo della missione è un tempo di apocalisse, non nel senso catastrofico solitamente attribuito a questo termine, ma nel senso etimologico di ri-velazione, di alzata del velo. L’annuncio del Vangelo, infatti, richiede che ciò che Gesù ha detto nell’intimità sia proclamato in pieno giorno, ciò che è stato detto nell’orecchio sia gridato sui tetti. C’è stato un nascondimento di “verità”, avvenuto non per dimenticare o seppellire ma per rivelare nel tempo opportuno ciò che era stato nascosto: “Nulla vi è di nascosto (verbo kalýpto) che non sarà ri-velato (verbo apokalýpto) né di segreto (kryptós) che non sarà conosciuto (verbo ghinósko)” (v. 26). Le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (cf. Mt 13,35; Sal 78,2) sono rivelate da Gesù e poi dai discepoli nella storia. D’altronde, i veri nemici dei discepoli non sono quelli di fuori ma quelli di dentro, quelle tentazioni che nascono dal cuore, quegli atteggiamenti idolatrici ai quali la comunità cristiana cede. I nemici di fuori, in realtà, sono occasioni per mettere in pratica il Vangelo, per mostrare la propria fede e la propria fedeltà al regno di Dio. Annunciare la parola di Dio è un compito che trascende il discepolo, la discepola: chi assume tale compito sa che la sua vita è posta sotto una forza che viene da Dio, sa che non può sottrarsi alla vocazione affidatagli, ma deve lottare per farla risplendere, combattendo l’idolatria che lo seduce. E la parola che proclama è dýnamis (cf. Rm 1,16), è forza che attraversa la storia umana senza impedimenti, in una sorta di corsa (cf. 2Ts 3,1)… Si tratta dunque di non temere quelli che uccidono il corpo, che interrompono la vita terrestre, ma in verità non possono togliere la vera vita. L’unico “timore” – nel senso che si diceva – da avere è quello verso il Signore, perché lui solo può decidere della vita terrestre e di quella vera. La vita, infatti, può essere vissuta come umanizzazione, conformemente alla volontà del Creatore, oppure essere segnata da scelte mortifere, che possono solo condurre alla rovina: per esprimere questo secondo esito Gesù si riferisce metaforicamente alla Gehenna, la valle che raccoglieva la spazzatura di Gerusalemme”. (cfr. Enzo Bianchi, Comunità di Bose)