Un anniversario

 

«Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (At 2,9-11).

Ricordiamo però che l’unità, per la quale siamo in cammino, è nella differenza. Questo è importante nell’incontro. L’unità non è tutti uguali, è nella differenza. (Cfr. Discorso di papa Francesco all’incontro ecumenico e alla preghiera per la pace in Bahrein)

 

L’anniversario della pubblicazione (18-24 luglio 1943) del “Codice di Camaldoli”, che molti forse non conoscono (ti rimando a leggere qualche notizia) tra i temi trattati di grande interesse, affronta anche quello sulla famiglia sul quale voglio soffermarmi. Leggendo le indicazioni dei compilatori di questo testo, un gruppo d’intellettuali cattolici che in un tempo particolare della nostra storia nazionale, era appena finita la seconda guerra mondiale e la Patria con le prime libere elezioni si affacciava a una scena polita nuova e democratica, doveva avere un riferimento umano e non solo religioso, ben chiaro.

In quel testo, di ottant’anni anni fa, si leggeva già la crisi della famiglia, quindi c’era la necessità di ribadirne i valori umani, morali, sociali e religiosi e oggi rileggendolo ci trovo una attualità notevole che pur se messa in crisi dalle nuove ideologie non fa tramontare il concetto e le parole che sono state usate. 

Noi cattolici, siamo criticati su questo argomento e credo sia indispensabile riprendere la terminologia, nel suo senso proprio, per non cadere sempre in un erroneo significato. La famiglia intesa secondo il concetto biblico è un uomo e una donna che si unisco in un vincolo sacro aperto alla procreazione e nel rispetto reciproco educano e crescono la prole, immagine di quell’unione tra Dio e l’umano e nel contratto che viene stipulato c’è questa sua dignità su cui si fonda la società. Forse è proprio in questo la causa della crisi attuale tra una laicità che vuole liberarsi dalla sacralità senza rendersi conto della sua naturalità.

In questo nostro mondo moderno quando si parla di famiglia o di matrimonio, si avanzano altre richieste e diritti, mettendo in discussione questo istituto che rimane comunque naturale e primo nella società umana dai suoi albori. Bisogna, pertanto, avere una onestà intellettuale per comprendere e per parlare con i termini propri e senza critiche: amore, famiglia, matrimonio, figli sono termini che racchiudono concetti che si possono e si devono ovviamente legare, ma anche leggere in modo autonomo senza confonderli o mischiarli rivendicando diritti o facendo polemiche sulla natura stessa.

L’amore è un sentimento universale che non conosce patria, religione, tradizione, sesso o cultura, l’amore è amore per un altro essere umano o per un animale o per una ambiente, per il pianeta, per una società … amore è un sentimento che arricchisce e che deve essere in ogni persona, amore che costruisce e non umilia, amore che rende liberi e non schiavizza o crea dipendenza e qui la psicologia ci viene in aiuto, pertanto amore, al di là di ogni riflessione, rimane amore indipendentemente da tutto. Nessuno giudica o vuole incanalare questo sentimento, però non possiamo non vedere e non sapere che con il termine “famiglia”, oltre l’indispensabile sentimento dell’amore, racchiude anche altre caratteristiche naturali per essere chiamata così e questo non vuole preclude altre soluzioni, solo definire il termine che se usato in tutte le possibilità di vita rischia di confondere la sua naturale realtà. Pertanto, con il termine “famiglia” s’intende uomo e donna e figli allargandosi poi alle varie parentele che ne seguono e il matrimonio quell’atto pubblico civile e/o religioso che definisce questo contratto. 

Quando si cerca di dare altri significati al termine “famiglia”, altre spiegazioni, si rischia di offendere o penalizzare una parte o l’altra, pertanto se l’intelligenza ci aiuta dobbiamo per chiarezza necessariamente usare terminologie più appropriate. Quindi si parlerà di famiglia eterosessuale o di unione oppure anche di altri forme, ma evitando così confusioni senza togliere o aggiungere nulla, rispettando le scelte e la natura di ognuno. Se il matrimonio socialmente e religiosamente è per la procreazione, questo rimane il valore, l’amore produce fisicamente altre vite. Le altre forme: adozione, affidamento, ecc. rimangono “altro”, pur nella loro nobiltà e diritto costituendo sempre un nucleo, come un gruppo, pari alla famiglia, ma non formano fisicamente il figlio/a e questo pur rimanendo un fatto oggettivo però non toglie il rispettare all’unione e soprattutto all’amore che li unisce e che li accudisce, ma comprendete che se l’amore è identico, la sostanza della vita vissuta in essa è differente.

Senza voler entrare in polemica o in discussione – non è questo il mio intento – il rispetto deve esserci da entrambi le parti senza denunciare, chi da una chi dall’altra parte, le proprie ragioni, ognuno crede e vive secondo i suoi valori e li difende e alla base ci deve sempre essere il rispetto reciproco di fede, credo, società, naturalità, … che vanno presi in considerazioni da tutti. 

La scelta cristiana però è questa e ciò non significa essere esclusi o non essere amati da Dio o non poter camminare nel solco cristiano, per quanti errori o limiti o visioni differenti ci possano essere, ma non possiamo neppure leggere il vangelo e i comandi di Dio a nostro piacimento, sottolineando che vanno contro la natura di alcuni o escludendo la disciplina e i precetti della Chiesa perché ritenuti antiquati. Le regole hanno il compito di garantire la loro osservanza nella vita cristiana. I comandamenti non sono una negazione dei diritti che ognuno rivendica, ma l’affermazione del rispetto tra di noi e con Dio e questo va al di là del tempo e della storia, del pensiero o delle singole opinioni. Questo rimane il riferimento del cammino di ogni cristiano, anche se non è alla moda e non è secondo le regole di questo mondo moderno.

Oggi si critica ogni cosa, uomo, donna, gender, natura … tutto diventa occasione di discussione, purtroppo non aperta ma restringente da ogni parte, quindi – citando le parole di San Giovanni XXIII, papa, che in un altro contesto disse “partiamo da ciò che ci unisce” – essere questa la strada per il vero dialogo. Importante sarà rimanere uniti pur nella diversità di opinioni, diventando meno legalisti e più caritatevoli ma non dimenticando mai il vangelo, senza svendere il messaggio di Cristo a beneficio o per una presunta libertà di pensiero, il rischio altrimenti sarà quello di ripetere gesti insulsi, ignoranti e chiusi di ieri e di oggi, come accaduto in Svezia di questi giorni, su altri temi, ma simili nell’atteggiamento di non dialogo e di chiusura.

Il dialogo e il confronto partono dal rispetto reciproco senza necessariamente scendere a compromessi ma ribadendo i propri concetti e opinioni nel rispetto reciproco, sapendo però che condividere un cammino, un pensiero significa fare delle scelte chiare. 

Fare le scelte però è il problema, non si vuole lasciare, ma si vuole adattare a nostro piacere e invece scegliere non necessariamente significa escludere e soprattutto non è escludere dall’amore di Dio. Ogni fratello e sorella di questa terra sono creature di Dio qualsiasi nome gli attribuiamo e da Lui amate in qualsiasi religione lo professano, il problema semmai è riconoscere il bene dal male e non il nostro bene ma un bene oggettivo che non mortifichi e penalizzi nessuno.

Credo che con una maggiore capacità intellettuale, pur mantenendo le posizioni, si possa arrivare a una convivenza umana onesta, serena, pacifica e rispettosa. Quella convivenza che è messa in discussione da tutto, perché pronti a rivendicare diritti dimenticando troppo spesso i doveri e le leggi che ci mettono insieme nella reciprocità facendoci cechi davanti alla varietà e le differenze che invece possono diventare fonte di arricchimento reciproco. 

@unavoce

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