“Sta al mondo per far balenare, attraverso la testimonianza quotidiana di tanti «poveri cristi», peccatori perdonati, la bellezza di un incontro che salva e dona un orizzonte di speranza. Sta al mondo per offrire a tutti l’occasione di incrociare lo sguardo di Gesù” (A. Tornielli)

 

Un parola che poco conosciamo anche noi che frequentiamo la vita della Chiesa, un termine che nella Chiese significa una lettera circolare inviata a tutte le Chiese. Le prime parole determinano il titolo dell’enciclica. Il termine deriva dal greco enkýklos, “in giro”, “in circolo”, e dal latino encyclia che significa “generale” o “circolare”, ed è anche alla base del termine “enciclopedia”. Oggi oltre ad invitarvi a leggere le encicliche che i Sommi Pontefici emanano che segnano e trattano di volta in volta un tema e il cammino della Chiesa oggi a sessant’anni dalla prima di Paolo VI scritta tutta di suo pungo durante ancora lo svolgimento del Concilio Vaticano II era il 6 agosto 1964 segna un fondamento per l’argomento che tratta.

Dal titolo “Ecclessiam Suam” la sua Chiesa credo che sia una bella lettura che possiamo fare per scoprire la bella della Chiesa a cui apparteniamo e per rinnovarci nella fede e nell’impegno a servirla a vario titolo e secondo le nostre singole vocazioni.

Un’editoriale di Andrea Tornielli direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, apparso sul sito della Santa Sede Vatican News ce la presenta.

“Il dialogo «non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso». Così scriveva Paolo VI nella sua prima enciclica, Ecclesiam suam, pubblicata il 6 agosto di sessant’anni fa. Bastano queste poche parole per intuire la straordinaria attualità della lettera montiniana, uscita interamente manoscritta dalla sua penna a poco più di un anno dall’elezione pontificale, a concilio ancora aperto. Il Papa bresciano definiva «dialogo della salvezza» la missione di Gesù, osservando che «non obbligò fisicamente alcuno ad accoglierlo; fu una formidabile domanda d’amore, la quale, se costituì una tremenda responsabilità in coloro a cui fu rivolta, li lasciò tuttavia liberi di corrispondervi o di rifiutarla». Una forma di rapporto che fa trasparire «un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale, la vanità d’inutile conversazione». Non si può fare a meno di notare la distanza siderale di questo approccio da quello che caratterizza tanto chiacchiericcio digitale da parte di chi giudica tutto e tutti, usa linguaggi sprezzanti e sembra aver bisogno di un “nemico” per esistere”. (cfr. A. Tornielli)

Un Chiesa in dialogo sempre e comunque come occasione per abbassare i toni e le distante è lo stile che San Paolo VI propone nel suo scritto che diventa di attualità in un mondo sempre in difficoltà soprattutto nel dialogo e nel rispetto reciproco.

@unavoce

 

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