Liturgia della Parola
Un mio vecchio commento: “Se uono vuole essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti”
a Dio interessa la tua gioia, non se arrivi primo
XXV DEL TEMPO ORDINARIO
«Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». (Mc 9,35)
Lasciamoci affrancare nella fede, in questo piccolo “francobollo di spirituale”, con le parole di don Luigi Maria Epicoco: “Abbracciati da Gesù non dobbiamo fingere di essere lupi: il nostro valore c’è anche nella fragilità e non dipende da una classifica. Il Vangelo di oggi ci ricorda che abbiamo un innato bisogno di affermazione. “Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande”. Anche senza accorgercene cerchiamo continuamente di essere riconosciuti, confermati, gratificati; e questo di per sè non è cattivo. Comincia a diventare un problema quando tutta la nostra vita diventa un’insicurezza alla ricerca di conferme, di “primi posti”. Così Gesù combatte questo virus del “carrierismo” proponendo l’antidoto dell’ultimo posto: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Perché solo uno che ha la libertà di mettersi all’ultimo posto allora è davvero il primo, perché è davvero libero di sedere in tutti i posti a partire dall’ultimo sino al primo. Chi invece cerca i primi posti non ha la stessa libertà di sedere ugualmente negli altri posti perché in lui le logiche del “giudizio degli altri”, dell’“audience”, della “belle o brutta figura” hanno la meglio sulla sua libertà. E così sarà “primo” ma infelice, quando invece davanti a Dio ciò che conta è la gioia non il risultato. Noi non siamo il posto che occupiamo, noi valiamo a prescindere, e pensare di valere di più perché sediamo in quel posto è solo un’illusione pericolosa. Dobbiamo comprendere che il nostro valore è assoluto e non relativo. “E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»”. Così con un solo gesto Gesù fa comprendere la fonte di ogni nostro valore: la nostra fragilità, la nostra delicatezza, che è la stessa di un bambino, è abbracciata da Cristo. In quell’abbraccio non abbiamo più bisogno di fingere di essere lupi. Ci si esercita ad essere così però imparando ad accogliere gli altri nella loro fragilità. È Gesù stesso che accogliamo in quel momento. È lì che cambiano le prospettive”. (cfr. d.L.M. Epicoco)